The Shape of Jazz to Come? Laura Lala
Scambio di mail con Laura Lala, una delle più belle voci femminili ascoltate negli ultimi mesi. La giovane cantante palermitana – che ha attirato il nostro interesse con la pubblicazione dell’album Pure Songs – ci ha raccontato come si può rimanere folgorati da una musica incontrata per caso, per poi viverla appieno ogni giorno, in ogni suo risvolto, con il sorriso sulle labbra e con entusiasmo incontenibile. The Shape of Jazz to Come?
All About Jazz: Raccontaci come è andato il primo incontro con il jazz.
Laura Lala: Il caso portò mia mamma – alla quale, molto più timida e impaurita di adesso, avevo “in punta di piedi” espresso il desiderio di studiare canto – davanti a una “Scuola
Popolare di Musica” (così diceva il cartello pubblicitario), il Brass Group di Palermo. Una volta arrivate lì per l’iscrizione scoprimmo che si trattava di una scuola di Jazz. Non lo sapeva lei, ma non lo sapevo neanche io cosa fosse il jazz. Soprattutto non immaginavo che sarei rimasta folgorata e che non avrei ascoltato praticamente altro per una decina di anni, da John Coltrane a Bill Evans e tantissimi altri. Avevo 18 anni, ed ero stata inaspettatamente “colpita e affondata” da una musica diversa dalle altre, ma simile a me, in un modo profondo e penetrante.
AAJ: Qual è stato il tuo percorso di formazione?
L.L.: Ho frequentato il Brass Group con Maria Pia De Vito e Salvatore Bonafede dal 1997 al 2001. Nel frattempo mi sono laureata al DAMS musica di Palermo con una tesi su Billie Holiday, co-relata da Marcello Piras. Subito dopo la laurea mi sono trasferita a Roma per frequentare il Saint Louis College of Music e negli ultimi dieci anni ho frequentato diversi seminari, tra i quali quelli con Sheila Jordan, presso la scuola civica di Cremona, e con Norma Winstone e Mark Murphy, all’Open Jazz Club di Palermo.
AAJ: Quando hai capito di essere diventata una cantante a tutti gli effetti?
L.L.: Credo che mai mi sentirò di essere qualcosa o qualcuno a tutti gli effetti. È una questione personale, di indole o carattere se vogliamo, ma è troppo difficile sintetizzare questo discorso via mail. Passo.
AAJ: Quali sono i progetti musicali che stai portando avanti?
L.L.: Due musicisti e amici palermitani mi hanno invitata a scrivere dei testi in inglese per le loro composizioni da cantare in quartetto. I brani mi piacciono molto, ho già scritto sei testi e spero inizieremo a suonarli a breve. Inoltre, durante la nascita, crescita e lavorazione del mio album Pure Songs, ho continuato a scrivere e continuo a farlo, così ho già un bel po’ di brani da parte che spero di destinare presto a un nuovo lavoro. Quando è possibile suono con un trio di amici in giro nei locali un repertorio di standard e di qualsiasi altro brano ci piaccia e ci venga in mente, non è un progetto ma è bellissimo e divertentissimo!
AAJ: Nel tuo album dividi il ruolo di figura principale con la pianista Sade Mangiaracina. Come è nata la vostra collaborazione e in che modo mettete insieme le idee musicali?
L.L.: Ci ha presentate Salvatore Bonafede, io e Sade abbiamo otto anni di differenza e lui me la “affidò” quando lei era ancora diciassettenne, per un viaggio-studio a Bassano del Grappa dove si tenevano i seminari di Veneto Jazz. Da allora non ci siamo separate, abbiamo anche vissuto sei mesi nella stessa stanza a Roma, senza mai però suonare insieme. Poi un giorno Sade ha cominciato a comporre, e ascoltando i suoi brani mi veniva naturale scrivere i testi, come se fosse una piacevole esigenza, tutto con grande spontaneità. Abbiamo cominciato a suonare insieme anche le mie composizioni e così abbiamo messo su un repertorio con i brani di entrambe, credendo in quello che facevamo, ma, dico davvero, supportate soprattutto dalla naturalezza di farlo insieme, spalleggiandoci l’una con l’altra come fosse tutto un gioco. Siamo ancora oggi due “casinare,” nel senso che magari Sade si mette al piano e mi suona a loop un brano nuovo mentre sto lavando i piatti e io lo ascolto fino a quando non è la musica stessa a suggerirmi le parole, o magari una frase dalla quale poi costruire una storia per il testo. Oppure io scrivo i mie brani e glieli suono al piano e scegliamo insieme il modo migliore per eseguirli. Credo che anche questa sia una forma d’improvvisazione che sicuramente abbiamo coltivato col jazz. E se la musica che facciamo non è jazz nel senso tradizionale del termine sicuramente jazz è il nostro approccio.
AAJ: Un album basato, come si intuisce dal titolo, sul concetto di “purezza”. Ci spieghi meglio i significati di questa idea?
L.L.: “Pure” significa verità, innocenza, assenza di ego, condivisione di un momento vero, un momento in cui ci si possa mettere in comunicazione con delle parti profonde di sé e offrirle agli altri, condividerle con gli altri anche senza bisogno di razionalizzarle. L’onestà, la sincerità, per me sono fondamentali nella musica che considero la mia terza lingua (dopo quella parlata e quella del corpo) e cerco più che posso di rispecchiare questi valori sempre, sia se canto uno standard, un brano pop, una melodia improvvisata o se faccio parte di un coro, ma è chiaro che avere la possibilità di cantare le tue cose ti aiuta molto.
AAJ: Inglese e dialetto siciliano. Qual è l’habitat migliore per la tua espressività vocale?
L.L.: Fra inglese e siciliano non c’è dubbio: il dialetto siciliano non si batte! Mi piacerebbe tanto cantare e scrivere in italiano, mi sto cimentando e lo vedo come un traguardo. È una lingua difficile da far suonare bene non essendo banali e poi credo ci sia in più una componente emotiva: un certo pudore di cantare in una lingua immediatamente comprensibile a tutti.
AAJ: Quali sono gli aspetti sui quali vuoi concentrarti per progredire ulteriormente e i punti di forza del tuo modo di fare musica?
L.L.: Continuare a suonare il piano per scoprire sempre nuovo materiale musicale e continuare ad ascoltare tanta musica riprodotta e dal vivo per lo stesso motivo. E poi anche leggere tanto e guardare film, conoscere tante persone e viaggiare, per accumulare materiale emotivo sia fuori che dentro di me. Inoltre, continuare a cimentarmi (questa è una novità) nella scrittura in italiano, cosa che sto facendo da un po.’ Sicuramente non vorrei mai lasciare lo studio del canto, per essere sempre più sicura del mio mezzo vocale, il che per me vuol dire riuscire a utilizzare la voce nel modo più spontaneo possibile, ma chiaramente in un modo sano e sempre cercando di scoprire a fondo le proprie potenzialità combattendo l’emotività.
AAJ: Se accendo il tuo iPod, cosa trovo in play? E perché?
L.L.: Sono andata di là, ho preso l’iPod e in play c’è: “Fuori dal tuo riparo” brano di Samuele Bersani. Perché è un artista che adoro.
AAJ: Nella tua vita, oltre che per la musica, quali altri interessi o passioni coltivi?
L.L.: Le persone. Adoro conoscere persone e chiacchierare, amo ascoltare e osservare, e starei ore e ore seduta in un bar o in una libreria a osservare la gente che passa, la gente che parla, che litiga, che piange, che corre, che litiga. Le facce dei bimbi poi. La lettura. Leggo tutto quello che m’incuriosisce. Adoro gli scrittori giapponesi. Ma anche il cinema: andrei ogni sera al cinema se potessi. Il mare. La famiglia e gli amici senza cui non sarei quella che sono. Le parole, con cui amo giocare anche per far ridere gli amici coniando stupidate come questa: “se fossi in Enrico Rava il mio prossimo disco lo chiamerei Ravatar”. Le risate. Mi piace tanto ridere, anche quando sono triste. Penso che ridere e far ridere sia una delle cose più sane e belle che si possano fare nella vita.